di Alessandro Paesano – Dal 5 di luglio la legge 7616 è finalmente operativa, chiunque voglia unirsi civilmente o regolamentare la propria convivenza di fatto lo può fare.
Come cambia la famiglia ora che le coppie di sesso diverso, oltre a sposarsi, possono vivere in un regime di convivenza di fatto e, ancora, che anche le coppie dello stesso sesso hanno finalmente un riconoscimento dallo Stato?
Se ne è parlato Mercoledì 6 luglio a Nuoro al Convegno La legge sulle unioni civili: i nuovi codici identitari della famiglia al quale Anddos è stata invitata a portare il suo contributo.
Il Convegno è stato organizzato dall’avvocata Maria Antoniena Masia responsabile della sezione di Nuoro dell’AIAF l’Associazione Italiana degli Avvocati per la Famiglia e i minori e dall’avvocata Annalisa Pittorra presidente della sezione di Nuoro dell’Osservatorio Nazionale sul diritto di Famiglia – Avvocati di Famiglia, e ha visto tra i partecipanti, oltre a chi scrive, l’Avvocato Gianfranco Dosi Presidente onorario della Sezione dell’Osservatorio Nazionale e Don Giuseppe Mattana come rappresentante della Chiesa.
Dosi dopo avere riconosciuto l’importanza di una legge che pur non aprendo al matrimonio egualitario riconosce molti dei diritti dell’istituto matrimoniale (con l’esclusione dell’obbligo di fedeltà e del diritto di adozione) si è concentrato sul titolo II della legge che regola le convivenze di fatto paventando l’esclusione di alcune categorie di persone all’accesso alle convivenze di fatto le quali, prima della legge, che pone dei paletti ben precisi, grazie all’intervento di un o una legale. potevano invece essere incluse.
Non una critica alla legge ma una semplice preoccupazione da avvocato quella di Dosi che si preoccupa dell’erosione di un margine di manovra come accade spesso quando una legge viene a regolamentare un materia lasciata prima alle singole cause legali.
Dosi ha ribadito l’importanza fondamentale di una legge sorvolando sulle sue particolarità che sono state ricordate invece dall’avvocata Masia: la legge 76/2016 riconosce le unioni civili esclusivamente per le coppie dello stesso sesso, le convivenze sono per tutte i tipi di coppia, mentre il matrimonio rimane esclusivo appannaggio delle coppie di sesso diverso.
Una legge a tre corsie non simmetriche che per accontentare tutti finisce per scontentare chiunque.
Interessanti anche il contributo di alcune avvocate presenti tra il pubblico che non riconoscevano l’importanza delle Convivenze di fatto da un lato sminuendone il portato innovativo dei diritti riconosciuti (tra gli altri, il diritto di successione nel contratto di locazione, il diritto di visita in ospedale e in carcere) secondo loro già ottenibili, per via giudiziale, senza la legge e dall’altra criticavano l’istituzione di un profilo giuridico minore rispetto il matrimonio del quale non si capisce la ragione (se ci si può sposare o unire civilmente che senso hanno le convivenze di fatto?) se non quella di accedere a un legame riconosciuto meno impegnativo.
E’ chiaro che queste quesiti vanno al di là della sfera dei diritti e entrano nella sfera sociale: per comprendere bene il portato di questi dubbi bisogna pensare al tipo di lavoro fatto da chi li ha sollevati: la tutela delle famiglie che si separano o divorziano e che, nel loro processo di separazione coinvolgono la prole (“usata” ancora oggi come arma di ricatto o di ripicca senza che i e le coniugi si rendano conto dell’illegittimità etica prima ancora che legale del loro operato come, per esempio, negare al coniuge che non paga gli alimenti il diritto di visita della prole…).
L’intervento di Don Mattana si è incentrato sui recenti e meno recenti documenti della Chiesa (dal codice di diritto Canonico alle Considerazioni circa i progetti i Riconoscimento legale delle Unioni tra Persone Omosessuali della Congregazione per la Dottrina della Fede passando per l’esortazione apostolica postsinodale di papa Francesco Amoris Laetitia) che ribadiscono tutti lo stesso principio: l’unica coppia riconosciuta come famiglia è quella formata da un uomo e da una donna genitori biologici della prole, prole che rimane lo scopo precipuo per cui quella forma di unione può accedere al titolo di famiglia.
Dalla possibilità procreativa della coppia di sesso diverso la Chiesa desume una complementarietà tra uomo e donna che manca, a detta di Mattana e dei documenti da lui citati, alle coppie dello stesso sesso.
Per questo motivo l’unione tra due persone dello stesso sesso non può avere la medesima rilevanza anche sociale di quella tra persone di sesso diverso e godere del titolo di famiglia.
Colpisce dei documenti citati l’estrema coerenza nella loro visione della famiglia che continua a riconoscere legittimità a una sola delle attuali compagini familiari unione quella tra uomo e donna sposate e genitori che anche a voler rimanere nell’alveo delle coppie di sesso diverso rappresenta ormai poco più del 30% di tutte le compagini familiari contemporanee come abbiamo rilevato nel nostro intervento.
Con la legge sul divorzio che ha regolamentato un fenomeno illegale eppure esistente (normalmente a discapito femminile) accanto alle coppie sposate sono iniziate a comparire nuove compagini familiari.
Sono comparse le famiglie ricomposte, laddove una coppia si è separata o ha divorziato e convive con un’altra persona, costituendo una coppia di fatto che ha deciso di non risposarsi perché non può o non vuole.
Ci sono anche le famiglie ricostituite, dove, in seguito a un divorzio, ci si è risposati e risposate.
Dal versante genitoriale sono comparse presto anche le famiglie mononucleari nelle quali una donna o (più raramente) un uomo crescono la propria prole senza essere in coppia o, comunque, senza il genitore o la genitrice biologiche.
Questo percorso di ampliamento della famiglia è stato corroborato dall’incremento di quei diritti garantiti dalla Costituzione anche alle donne ma che leggi precedenti alla nostra Repubblica impedivano loro di godere fino in fondo.
Come abbiamo ricordato nel nostro intervento, bisognerà spettare il 1975 perché la moglie sia giuridicamente pari al marito (nuova legge di famiglia, 1975) mentre per cancellare alcuni articoli a dir poco discriminatori del codice civile bisognerà aspettare gli anni 80 (tra gli altri ricordiamo qui il delitto d’onore e il matrimonio riparatore, entrambi abrogati il 5 settembre del 1981, sì 81 non è un refuso…).
Nuove compagini familiari sempre più diffuse che per la chiesa non rientrano nell’alveo familiare in senso stretto proprio come le coppie dello stesso sesso.
Coppie dello stesso sesso per le quali sono avvenuti cambiamenti radicali negli ultimi 40 anni.
Se ancora negli anni 70 c’era chi tra i militanti del movimento di liberazione omosessuale come Mario Mieli vedeva nel matrimonio tra persone dello stesso sesso uno scimmiottamento dei comportamenti borghesi eterosessuali da evitare (quando la famiglia era ancora quella patriarcale, dalla quel provenivano tante discriminazioni, anche in base all’orientamento sessuale, e dalla quale bisognava dunque emanciparsi) da quando la parità tra coniugi e il divorzio hanno permesso una radicale trasformazione della famiglia e delle sue relazioni interne anche le coppie dello stesso sesso hanno espresso il desiderio di formare famiglia.
Non sono stati i movimenti di liberazione lgbt, non è stata la militanza politica di rivendicazione a fare la differenza, è stata la gente, il popolo arcobaleno che, vivendo magari in prima persona in una compagine familiare di origine più libera e democratica di quella in cui erano nati i propri genitori, hanno ritenuto possibile e auspicabile metter su famiglia crescendo anche in una coppia dello stesso sesso la prole avuta da precedenti relazioni con persone dell’altro sesso oppure pensando di mettere al mondo un figlio o una figlia proprio perché in coppia con una persone dello stesso sesso.
Una riproduzione biologica possibile anche a coppie dello stesso sesso grazie alle nuove tecniche cliniche di procreazione assistita – una parola, procreazione, teleologica che dovrebbe essere sostituita dalla più umile riproduzione.
La storia della istituzione familiare a saperla leggere dalla giusta prospettiva storica è una storia di emancipazione, delle donne dagli uomini, delle mogli dai mariti, dei figli e delle figlie dal padre-padrone, e nello stesso alveo anche emancipazione delle persone omosessuali e bisessuali dalla pretesa di superiorità o naturalità di certe famiglie su altre.
Nonostante la verve di Mattana che ha ravvisato nelle altre forme di unione (quelle che per la chiesa non godono del titolo di famiglia) una volontà di distruggere la famiglia tradizionale nel nostro intervento abbiamo auspicato a un dialogo sereno che non radicalizzi le posizioni in uno scontro dannoso per chiunque.
Le persone omosessuali non vogliono distruggere alcuna compagine familiare, né vogliono cancellare le differenze biologiche tra maschi e femmine, come paventato da Don Mattana citando una teoria Gender che non trova riscontro alcuno nella letteratura scientifica dove esistono gli studi di genere che sono tutt’altra cosa.
E a una avvocata tra il pubblico che chiedeva se più che la chiesa a discriminare non siano le persone omosessuali a sentirsi discriminate abbiamo ricordato come spesso si discrimina senza averne l’intenzione e, soprattutto, che si discrimina senza avere la percezione dell’atto discriminatorio che si sta compiendo. Questo perché le discriminazioni nei confronti delle persone omosessuali non si limitano alle aggressioni fisiche o verbali ma si attuano dolorosamente anche quando si nega loro la dignità di famiglia o quando, come fa il Catechismo della Chiesa Cattolica, dopo aver premesso che l’omosessualità è di per sé un grave disordine morale che non può essere approvata in nessun caso, si chiede alle persone omosessuali una castità totale magari con l’ausilio di una persona disinteressata che le aiuti a portare la croce come ha fatto il Cristo.
E chiedere a una persona di rinunciare alla sfera affettiva e sessuale a causa del proprio orientamento sessuale non è forse una forma di discriminazione?
Discriminazioni diverse accomunate da una stessa matrice culturale.
Non a caso Anddos – abbiamo ricordato nel concludere il nostro intervento – nella sua lotta contro le discriminazioni per orientamento sessuale ha cara la libertà delle donne di qualunque orientamento sessuale come dimostrano i Centri di Ascolto e Antiviolenza che stiamo aprendo in tutto il territorio italiano.
Un convegno prezioso che ha sancito una nuova collaborazione tra Anddos e l’Aiaf di Nuoro, a stragrande maggioranza femminile, sia per motivi professionali che per motivi geografici.
La zona della Barbagia, dove si trova Nuoro, è una zona ad alto matriarcato dove le donne hanno molta consapevolezza di sé e del proprio corpo come dimostra un ampio impiego di contraccettivi e un numero basso di interruzioni volontarie della gravidanza.
Ma di questo parleremo un’altra volta…
L’articolo Anddos al convegno dell’AIAF di Nuoro sulla legge per le unioni civili sembra essere il primo su ANDDOS.
Fonte: ANDDOS