La storia del patrocinio negato al Toscana Pride da parte del primo cittadino di Firenze. Nella argomentazioni e nelle giustificazioni gli elementi più ingiustificabili sul piano politico, specie di fronte al “pellegrinaggio” del gonfalone in Vaticano.
Di Francesco Lepore – Trascorso un evento, si è soliti guardare a esso con un progressivo distacco e dimenticare le eventuali polemiche, che l’hanno preceduto e accompagnato. Ma nel caso del Toscana Pride e del negato patrocinio/gonfalone comunale (quello di Firenze, per capirsi) non è possibile. La ragione è duplice. A fronte di contestazioni durante la parata, articoli e qualche j’accuse epistolare da parte d’associazioni lgbt l’amministrazione di Palazzo Vecchio ha preferito difendere la posizione assunta nei mesi scorsi e mantenere il punto con un’apologia ad oltranza. I mea culpa sanno troppo di sagrestia. Meglio, dunque, fugare qualsiasi ombra di piagnoneria, che già troppo grava sul sindaco Nardella. Il quale, però, dovrebbe ben sapere, sulla scorta della parabola evangelica, che quando si pone una toppa su una veste lacera si finisce per allargare lo squarcio. È quanto fatto con la missiva al circolo Anddos-Gaynet Roma e il comunicato chiarificatorio sulla presenza del gonfalone in Piazza S. Pietro.
Bisogna subito rilevare l’estrema cortesia del primo cittadino di Firenze nel dare immediato riscontro alla lettera, che esponenti e simpatizzanti della citata organizzazione lgbt hanno consegnato, il 18 giugno, a Palazzo Vecchio. In essa si richiamava il 2° comma dell’art. 2 del titolo II della Disciplinare delle attività di rappresentanza istituzionale del Sindaco e della Giunta del Comune di Firenze a riprova della piena conformità del Pride ai requisiti previsti per la concessione del patrocinio a qualsivoglia iniziativa. Si contestava, inoltre, la definizione di manifestazione politica e, in quanto tale, divisiva, che Nardella e sodali hanno ripetutamente attribuito alla marcia dell’orgoglio per motivarne il negato assenso morale e la relativa mancanza del gonfalone. Ragione, questa, di cui s’è già mostrata l’inconsistenza: «Che cos’è il Pride se non una manifestazione di particolare valore sociale e morale, volta da quel fatidico 27 giugno 1969 (Moti di Stonewall) a rivendicare il cambiamento della condizione delle persone lgbt e il conseguimento d’una piena parità di diritti per esse? Definirlo una manifestazione di carattere politico o rispondente a una parte politica significa non avere contezza di quanto si dice. O, peggio ancora, significa ridurre la piena uguaglianza umana, sociale, giuridica delle persone lgbt a mera opinione di schieramenti partitici e non considerarla per quella che è, cioè principio universale e imprescindibile da tutelare in maniera prioritaria».
Nardella, come detto, ha dato gentilmente riscontro, il 23 giugno, a questa nota di protesta. Ma riscontro non sempre significa risposta. Nel leggere infatti la lettera giunta da Palazzo Vecchio c’è da meravigliarsi non poco del silenzio sui vari rilievi sollevati da Anddos-Gaynet e dell’ennesima collocazione del Pride tra le iniziative che hanno “forte valenza politica”. Unico elemento di novità, invece, il riferimento alla non concessione del patrocinio a siffatte manifestazioni, che si svolgono in forma di corteo. Elemento, questo, di cui la Disciplinare tace del tutto e di cui restano incomprensibili le ragioni. Ma è proprio il concetto di corteo a richiamare la questione del gonfalone, strettamente correlata a quella del patrocinio. Non si concede il patrocinio a manifestazioni che si configurano quali sfilate e poi si permette l’accompagnamento del gonfalone a una processione – che è, in ultima analisi, un corteo – come quella del Corpus Domini?
Lo storico vessillo con giglio bottonato rosso è stato fra l’altro al centro dell’altro defensorio licenziato da Palazzo Vecchio. Un secco comunicato che, nella mente degli estensori, avrebbe dovuto chiudere una volta per sempre la bocca di quanti avevano criticato la presenza del gonfalone in Piazza S. Pietro proprio il 18 giugno: «In merito alla presenza del Gonfalone in Vaticano, si precisa che Papa Francesco ha invitato una delegazione ufficiale della città per ringraziare Firenze dell’accoglienza lo scorso novembre. Essendo un’occasione istituzionale, con la delegazione era presente un Gonfalone della città». Con questa nota s’è però imboccato un sentiero molto scivoloso. Consta solo che in quel giorno il gonfalone ha accompagnato il pellegrinaggio diocesano (quasi 3mila persone), guidato dal Cardinale arcivescovo Giuseppe Betori, ed è sventolato durante l’Udienza Giubilare. Altro che invito da Papa Francesco, il quale, se così fosse stato, avrebbe dovuto menzionare esplicitamente la delegazione ufficiale della città e non limitarsi a dire: «Saluto i fedeli di Firenze, con il Cardinale Betori, e di diverse Diocesi italiane accompagnate dai rispettivi Pastori» Stando così le cose, l’amministrazione comunale dovrebbe adesso provare la veridicità d’un invito ufficiale da parte del Papa. Se si tratta d’una lettera, partita dalla Segreteria di Stato o da quella particolare del S. Padre, è necessario che venga pubblicata. Se manca, è pur vero che si potrà sempre parlare di convocazione verbale. La cautela al riguardo è però d’obbligo al pari d’un’assoluta sicurezza da parte di Nardella. Sono sempre da temere le piccate smentite, che arrivano da Oltretevere come fulmini a ciel sereno. Anche perché il motivo dell’espresso invito papale è già stato utilizzato, in un recente passato, da un altro sindaco del Pd. E, come tutti ben sanno, non gli ha affatto recato fortuna.
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Fonte: ANDDOS