Was8963074-593x443Da L’Espresso – Del discorso di papa Francesco all’assemblea plenaria dei vescovi italiani i media hanno pescato e sovraccaricato praticamente la sola frase sulla “gestione delle strutture e dei beni”, dei quali occorrerebbe “mantenere soltanto ciò che può servire per l’esperienza di fede e di carità del popolo di Dio”. Tradotto: il papa ordina la svendita dei possedimenti della Chiesa.

Non una parola invece sugli attuali punti caldi dell’incrocio tra Chiesa e politica in Italia. Francesco non ne ha fatto il minimo cenno e i media pure.

È toccato così al cireneo della CEI, il cardinale Angelo Bagnasco, far sommessamente notare, il giorno dopo, come i media “passino costantemente sotto silenzio, come se mai fossero state pronunciate”, non solo, ed è ovvio, i silenzi del papa, ma anche le sue parole scomode contro le unioni omosessuali e le teorie del “gender”, perché ne ha dette eccome, anche se in altri momenti, e il cardinale ne ha fornito un florilegio.

E poi non è che Francesco sia stato proprio zitto, su tali questioni, nel giorno in cui ha incontrato i vescovi italiani. Nello stesso lunedì 16 maggio è uscita l’ennesima sua intervista a ruota libera, questa volta al quotidiano cattolico francese “La Croix” (vedi foto), nella quale ha consigliato l’obiezione di coscienza ai funzionari chiamati a registrare le unioni omosessuali.

Questa la domanda:

“In un contesto laico, come i cattolici dovrebbero difendere le loro preoccupazioni su materie quali l’eutanasia o il matrimonio tra persone dello stesso sesso?”.

E questa la risposta del papa:

“È al parlamento che spetta discutere, argomentare, spiegare, ragionare. Così cresce una società. Una volta che la legge è votata, lo Stato deve rispettare le coscienze. In ogni struttura giuridica, l’obiezione di coscienza deve essere presente, perché è un diritto umano, Anche per un funzionario pubblico, che una persona umana. Lo Stato deve rispettare le critiche. È qui una vera laicità. Non si possono accantonare gli argomenti dei cattolici dicendo loro: ‘Parlate come un prete’. No, essi si fondano sul pensiero cristiano che la Francia ha così notevolmente sviluppato”.

Jorge Mario Bergoglio non è nuovo a pronunciarsi in questo senso. Lo fece al ritorno del suo viaggio negli Stati Uniti, nella consueta conferenza stampa ad alta quota.

Tre giorni prima, il 24 settembre 2015, nella nunziatura di Washington, il papa aveva incontrato Kim Davis, la funzionaria del Kentucky, non cattolica, che aveva rifiutato di registrare un matrimonio omosessuale e per questo era finita in prigione.

E sull’aereo, interpellato sulla vicenda, ribadì con forza di approvare quel gesto:

“In ogni struttura giudiziaria deve entrare l’obiezione di coscienza, perché è un diritto, un diritto umano. Altrimenti, finiamo nella selezione dei diritti: questo è un diritto di qualità, questo è un diritto di non qualità… È un diritto umano. Se il funzionario di governo è una persona umana, ha anche lui quel diritto”.

“Avvenire”, il quotidiano della conferenza episcopale italiana, ha naturalmente pubblicato ampi stralci dell’intervista del papa a “La Croix”, compreso il passaggio sull’obiezione di coscienza.

Senza fiatare. Perché fino a un minuto prima la linea del giornale era diametralmente opposta. Decisamente contraria ad ammettere l’obiezione di coscienza per chi ha la funzione di registrare un matrimonio omosessuale.

Il primo a schierarsi contro l’obiezione, nel solenne editoriale di prima pagina del giorno dopo l’approvazione definitiva della legge Cirinnà, il 12 maggio, era stato il professor Francesco D’Agostino, l’insigne giurista che è faro di riferimento per il direttore di “Avvenire” Marco Tarquinio:

“Pare utile segnalare con franchezza che non appaiono utilmente creative la prospettiva – evocata da alcuni – di una battaglia referendaria per abolire totalmente la nuova legge né quella di fare appello all’obiezione di coscienza di quanti saranno chiamati a registrare (non a celebrare, come qualcuno pretenderebbe) le unioni civili previste e regolate dalla legge: non è questa la strada maestra lungo la quale sviluppare un impegno ‘contro’ nessuno, ‘per’ la famiglia e ‘per’ un umanesimo che custodisce l’originalità della persona”.

Ma il giorno successivo, a dare il colpo di grazia teologico all’obiezione, era intervenuto anche don Mauro Cozzoli, ordinario di teologia morale nella Pontificia Università Lateranense, in una “column” di terza pagina tutta dedicata all’esame della questione.

Dopo aver squalificato come inaccettabile moralmente l’obiezione a pagare il fisco, sia pure ammantata dei più nobili e generosi motivi, Cozzoli aveva spiegato che l’obiezione a registrare un’unione omosessuale “ha la stessa inconsistenza etica”. E aveva concluso condannando tale gesto come “impraticabile e indifendibile”.

Un bel problema per “Avvenire” quindi c’è. Si trova in disaccordo col papa, e su una questione tutt’altro che marginale, con forti effetti pratici. Si allineerà? E come?

Per cominciare si ripassi ciò che scrisse la congregazione per la dottrina della fede nel 2003:

“In presenza del riconoscimento legale delle unioni omosessuali, oppure dell’equiparazione legale delle medesime al matrimonio con accesso ai diritti che sono propri di quest’ultimo, è doveroso opporsi in forma chiara e incisiva. Ci si deve astenere da qualsiasi tipo di cooperazione formale alla promulgazione o all’applicazione di leggi così gravemente ingiuste nonché, per quanto è possibile, dalla cooperazione materiale sul piano applicativo. In questa materia ognuno può rivendicare il diritto all’obiezione di coscienza”.

Cambiando argomento, nell’intervista a “La Croix” papa Francesco ha fatto anche capire come mai nel recente discorso da lui tenuto sull’Europa alla consegna del Premio Carlo Magno abbia schivato ogni riferimento all’identità ebreocristiana del continente, e abbia scelto invece di definire tale identità come “dinamica e multiculturale”, integrativa delle “culture più diverse e senza apparente legame tra loro”.

Interrogato proprio su questa sua scelta così marcatamenrte secolarista, il papa l’ha motivata così:

“Bisogna parlare di radici al plurale, perché ce ne sono tante. In questo senso, quando sento parlare di radici cristiane dell’Europa, non mi piace qualche volta il tono, che può essere trionfalista o vendicativo. È qualcosa che rimanda al colonialismo. Giovanni Paolo II ne parlava con tono tranquillo. L’Europa, sì, ha delle radici cristiane. Il cristianesimo ha per compito di irrigarle, ma in uno spirito di servizio come per la lavanda dei piedi. Il dovere del cristianesimo per l’Europa è il servizio. Erich Przywara, grande maestro di Romano Guardini e di Hans Urs von Balthasar, ce lo insegna: l’apporto del cristianesimo a una cultura è quello del Cristo che lava i piedi, vale a dire il servizio e il dono della vita. Non dev’essere un apporto colonialista”.

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Fonte: ANDDOS