In questi giorni si è riacceso il dibattito sulle Unioni Civili, in attesa dell’inizio della discussione alla Camera il prossimo lunedì 9 maggio. Si stanno moltiplicando gli appelli al mancato “dialogo” provenienti da alcune frange del centrodestra e, fatto ancora più assurdo, gli appelli ad anteporre improbabili mozioni sulla gestazione per altri al voto sulle Unioni Civili.
Esprimiamo la nostra più totale indignazione contro chi si ostina ancora a mescolare senza cognizione di causa una questione importante e complessa come la gestazione per altri a un tema di diritti essenziali delle persona e dei minori. E’ ancora più assurdo, oltre che indecoroso in termini di onestà intellettuale, che si parli di assenza di dialogo. E’ del tutto strumentale paragonare le Unioni Civili agli altri provvedimenti del Governo: si tratta, infatti, di una legge che l’Italia aspetta da almeno 20 anni, che ci vede in difetto con la giurisprudenza dell’Unione Europea e che è all’esame del Parlamento da luglio 2013. La commissione Giustizia del Senato vi ha dedicato 72 sedute e audito decine di associazioni, tra le quali anche le realtà promotrici del Family Day. Il testo, inoltre, ha subito quattro riformulazioni e ha recepito i pareri favorevoli della Commissione Affari Costituzionali, della Commissione Bilancio e del Mef”.
Per questo riteniamo questa legge un passo ormai indispensabile per l’Italia, una misura di civiltà che arricchisce tutti e tutte senza togliere nulla a nessuno e che dovrà essere il punto di partenza per l’estensione del matrimonio civile. Tuttavia, è evidente che la vera battaglia avrà inizio adesso, in quanto sia le ultime esternazioni del cardinal Bagnasco sia il tono pesantemente discriminatorio degli emendamenti presentati alla Camera, ci danno la misura di quanto sarà lunga la resistenza conservatrice. Forse ci vorranno decenni affinchè i libri di storia scrivano che dopo l’approvazione della legge Cirinnà una barbara e rabbiosa reazione omofoba e razzista tentò di confinare questo istituto giuridico, e di conseguenza l’omosessualità, in una sorta di nuovo apartheid culturale istituzionalizzato. Di fatto è ciò che stanno già facendo, motivo per cui l’attenzione della politica e del mondo associativo, nei prossimi mesi e anni, dovrà riguardare principalmente i territori e i luoghi della cultura.
Mario Marco Canale
Presidente Nazionale Anddos
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Fonte: ANDDOS